Cantico dei Cantici - Capo 2
v.8. VOX DILECTI MEI: ECCE ISTE VENIT
SALIENS IN MONTIBUS, TRANSILIENS COLLES.
Senti? La voce del mio diletto! Eccolo: viene
saltellando per i monti, balzando sui colli.
Il grido della sposa in contemplazione.
L'Umanità santa del Verbo incarnato.
La sua Chiesa.
Questo stato di contemplazione, ozio
soavissimo e fervidissimo, è l'attività più feconda del mio
ministero; sono queste le ferie migliori del mio sacrificio
sacerdotale.
VOX DILECTI MEI!
Senti? La voce del mio diletto!
Ascolta, e vedrai.
Credi, e vedrai.
Un suono improvviso, la veemenza dello
Spirito che discende con lingue di fuoco.
Ascolta e vedrai.
Chi è questo Cervo?
Donde viene, e perché?
Ho prprio bisogno della luce di Dio, per
vedere.
"In sole posuit tabernaculum suum, et
ipse tamquam sponsus, procedens de thalamo suo. Exultavit ut gigas
ad currendam viam: A summo coelo egressio ejus, et occursus ejus
usque ad summum ejus" (Ps. 18).
Ha posto la sua dimora nel sole, ed è come
uno sposo uscente dal suo talamo.
S'è lanciato come un gigante nella sua corsa.
Viene dalla sommità del cielo, e la sua corsa è ritornare a quella
sommità.
Non è più un Cervo, ma uno Sposo, che
languisce d'amore.
Forse è il buon Pastore, che lasciate le
pecorelle nella celeste beatitudine - quelle montagne di santità,
che sono i Cori Angelici - corre velocissimo sulla terra, in cerca
della pecorella smarrita?
La superna Gerusalemme posa su quelle
montagne.
"Fondamenta ejus in montibus
sanctis" (Ps. 86).
Danzano nella gioia della lode perenne.
"Montes et colles cantabunt coram Deo
laudes" (Is. 5).
*
* *
Vis tibi hujus Sponsi saltus
demonstrem?
Vuoi che ti dimostri i salti di questo Cervo,
le pazzie di questo Sposo?
En quantum saltum dedit: A summo caelo ad
terras.
Dall'Altissimo Cielo alla terra.
"In terris visus est, et cum hominibus
conversatus est" (Bar. 3).
È stato visto sulla terra, ed ha fatto vita
comune con gli uomini.
Dall'Altissimo Cielo: "In principio erat
Verbum, et Verbum erat apud Deum, et Deus erat Verbum".
Alla terra: "Et Verbum caro facto est, et
habitavit in nobis".
Factus est inter illos tamquam unus ex
illis, dissimulans iniuriam, et accumulans gratiam.
Nato in mezzo a noi, come uno di noi:
perdonando ogni ingiuria e accumulando grazia.
Venendo tra noi, ha vinto nella corsa lo
stesso Gabriele, prevenendolo presso la Vergine.
Lo stesso Arcangelo l'attesta, quando dice a
Maria: Ti saluto, o piena di grazia, il Signore è con te.
Quid? Quem modo reliquisti in caelo, nunc
in utero rèperis? Volavit et praevolavit super pennas ventorum.
Victus es, o Archangele: transiliit te, qui praemisit te.
Che cosa? Colui che hai testè lasciato, ora
lo trovi nel seno della Vergine?
In che modo? Il Verbo ha volato, e ti ha
preceduto nel volo, sulle penne del vento.
Sei stato vinto, o Arcangelo: ti ha superato
nella corsa Colui, che prima aveva inviato te.
ECCE ISTE VENIT SALIENS IN MONTIBUS,
TRANSILIENS COLLES.
Quali monti?
Forse quei monti di cui dice il Profeta, che
si sciolsero come cera al suo passaggio?
"Montes sicut cera fluxerunt a facie
Domini" (Ps. 96).
Forse i monti brulli e sterili della
superbia, sopra i quali cade l'imprecazione del Profeta: "Nec
ros, nec pluvia descendant super vos" (2 Reg. 1,21).
Sopra di voi non scenda né la rugiada, né la
pioggia.
Perché "Dio resiste ai superbi e dona la sua
grazia agli umili".
Ecco, dunque, il piccolo Gesù che saltella
come un cerbiatto nelle valli dell'umiltà.
Io, chi sono?
Osservate i passi dello Sposo e misurate i
suoi salti, sia tra gli Angeli che in mezzo agli uomini.
Egli sale sugli umili e supera d'un balzo i
superbi.
Chi sono io, terra e cenere?
S'è indurito il mio cuore, e inaridito come
terra senza acqua.
Perché il Signore non ha posato i piedi sulla
mia collina?
Ecco: è vicino!
L'acqua zampilla fresca: "Noli altum
sapere, sed time" (Rom. 2,20).
Non levarti in superbia, ma temi.
E "beato l'uomo, che vive sempre in
timore" (Prov. 28,14).
Perché vivere sempre in timore?
Sì, sempre: quando sei vicino e quando sei
lontano dal Signore, e quando a Lui ritorni.
Perché temere se sei vicino a Lui?
"Insidiatur quasi leo in spelonca
sua" (Ps. 9,30).
Un leone t'insidia continuamente dalla sua
spelonca.
Quanto devi temere, se sei lontano da
Lui!
Quia ubi deficit gratia, deficis tu:
Se ti manca la grazia, sei ridotto al nulla.
Time, quia reliquit tibi custodia
tua: temi, perché sei in balìa di te stesso.
Perché temere, quando sarai ritornato vicino
a Lui?
Vedi di non cadere più, perché non potresti
forse più guarire.
Con queste tre misure di timore, tu sarai
come l'anfora al banchetto nuziale di Cana.
Colma fino all'orlo.
Colma d'acqua, mutata nel vino della perfetta
letizia.
"Egli ti inebrierà con l'acqua della
sapienza".
Si potrà dire anche di te, che t'ha riempito
lo spirito del timore del Signore.
In questa pienezza non vi sarà più timore:
"Quia perfecta caritas foras mittit timorem".
VOX DILECTI MEI: ECCE ISTE VENIT SALIENS IN
MONTIBUS, TRANSILIENS COLLES.
Senti?
La voce del Diletto ha fatto sussultare la
terra: è il primo annuncio della sua venuta. Ma questa voce è
risuonata da lontano, perché lo Sposo che risiede nei Cieli, per
venire fino a noi deve varcare profondi abissi e sormontare
distanze incalcolabili. Tuttavia il suo amore non si meraviglia:
scuote la sua potenza e viene. Rapido come il fulmine, impetuoso
come l'uragano, salta di vetta in vetta e, nella sua corsa da
gigante, sfiora appena le cime dei monti e dei colli. Che cosa
significano queste alture e questi precipizi, se non immensi
ostacoli che sembrano opporsi alla discesa del Re della gloria? Per
Lui, autore delle leggi della natura, è facile rovesciarle quando
gli pare e piace. Ma vi sono altre leggi immutabili, e sono
precisamente quelle che Dio porta nella sua propria essenza.
Eterno, infinito e santo come potrà unirsi all'essere di un giorno,
compresso dal nulla da ogni parte e sopratutto infetto fin nelle
midolla dal veleno del peccato? Sormontare questo ostacolo e
trionfarne è il capolavoro della sua onnipotenza, della sua
sapienza, del suo amore. Questa forza vittoriosa ci è dipinta con
l'impetuosità che lo trasporta in un attimo, dal seno del Padre in
quello di Maria, dall'infinito della grandezza all'infinito della
piccolezza.
Non è che il primo passo di quella corsa
vertiginosa. Egli ne fa un secondo quando discende dalla
mangiatoia, un terzo dalla mangiatoia al Calvario, un quarto dal
Calvario al sepolcro, e un quinto, il più mirabile di tutti, quando
dal sepolcro nuovo, vergine, tagliato nella roccia viva, discende
nel cuore del peccatore.
*
* *
Ora chiudo tutti i libri.
Entro da solo nella Liturgia della Notte
Natalizia.
Pregate perché la mia parola sia
semplice.
Come una rivelazione del Verbo.
Parola breve e povera come il Divino Infante
nel suo presepio e nel suo silenzio.
Nella sua Eucarestia, e nelle sue intimità
con gli umili.
Sei tanto stanco, Gesù?
I tuoi piedi sono agilissimi, superando le
montagne delle tue creature, danzando sopra di esse come un cervo e
un gigante.
Ma quella montagna…!
Quale montagna?
Quella che si perde nell'eternità, della
quale sei pietra viva, respiro e splendore!
Quale montagna!
L'Altissima Trinità, nella quale Tu
dimori.
Come hai potuto staccarti da essa?
Mi potresti confidare l'affanno del Padre e
il gemito del Tuo Spirito, quando hai spiccato il primo salto verso
il mondo?
Forse ti sei smarrito nei Tuoi primi
passi?
Ti sei trovato inesperto nel camminare?
Poiché Tu conoscevi solo il Padre.
Amavi Lui solo, in Lui riposavi ed eri il Suo
riposo.
Chi può comprendere?
Nella divina Liturgia stai risalendo un'altra
montagna.
Il mistero nuovissimo è nelle nostre
mani.
Sull'Altare cadrai sfinito.
Nell'estasi del tuo amore nuziale.
Nell'amplesso castissimo della Tua
Chiesa.
Per questo Ti sei fatto carne, mantenendo
intatta la gloria dell'Unigenito del Padre.
Don Luigi Bosio, In nocte Nativitatis
Domini 1962, «Cittadella Cristiana», Dicembre 1962 - Gennaio
1963, Anno XIV, N. 151.